Mi chiamo Giovanni e molti anni fa, nel 1965, dopo l’ennesima lite dei miei genitori, mia mamma finì in una casa di cura, che allora si chiamava “manicomio” e io mi ritrovai in un collegio insieme a mia sorella.
Ai miei serviva un po’ di tempo per risolvere i loro problemi e l’unica soluzione era che qualcuno si prendesse cura di noi.
Furono gli anni più tristi della mia fanciullezza: avevo solo 4 anni e un disperato bisogno della mamma, della mia cameretta e della mia sorellina, invece mi trovavo in un luogo triste, fatto di ampi spazi sconosciuti, di dormitori enormi, di refettori maleodoranti dove, senza sporcarsi la divisa, si era costretti a mangiare minestra e pane duro.
Ricordo ancora i pianti e le urla dei bambini che volevano la loro mamma; ben presto imparai a consolare quelli che arrivarono dopo di me, proprio come altri bimbi avevano fatto con me. Finalmente, per amore dei figli, i miei genitori tornarono insieme, ma nella mia famiglia vi erano spesso liti furiose e scene di violenza fisica e verbale.
Gli anni passarono velocemente e ben presto mi ritrovai adolescente.
Finii le scuole medie, con i dubbi, le domande e le crisi di un ragazzo che desiderava delle risposte. Il mio disagio ben nascosto mi aiutò a cercare Dio, ad arrabbiarmi con Lui: io ero nei guai e con qualcuno che fosse il responsabile del mio sconforto dovevo pur prendermela! Con dei cugini più grandi frequentai qualche incontro nell’ambiente carismatico cattolico, e così iniziai a chiedermi se veramente vi fosse un Dio e se per me vi fosse una via d’uscita.
Vennero i tempi del liceo e, con la scoperta di certa letteratura, accantonai il pensiero di Dio e mi dedicai ai poeti maledetti, agli artisti disperati.
Ero attratto da queste storie di gente triste, incompresa ed isolata, proprio come me. Con alcuni amici iniziai a fare uso di hashish e marijuana, cercando sollievo alla mia esistenza; droga alcool e fumo erano i miei amici segreti, in famiglia nessuno poteva immaginare quanto malessere interiore avessi.
Alla fine del 1979 i miei genitori si separarono per sempre; io decisi che la famiglia e i suoi valori non erano che inganno e mi promisi che mai e poi mai ne avrei formata una.
Una sera ascoltai con interesse un ragazzo parlare di un Gesù vivente; era completamente cambiato, era irriconoscibile, stranamente normale e sobrio. Raccontava con convinzione e entusiasmo che Lo si poteva conoscere personalmente.
Poi andai a casa e dopo l’ultimo spinello, mentre al buio salivo le scale per andare in camera, pensai: “Sarebbe bello se ci fosse un Dio che ci tira fuori dai guai”.
Mi trasferii a Novara, dove una sera incontrai Emma, la sorella di Mimì, un amico di mio cugino Piero.
Erano ragazzi più grandi di me che facevano uso di droghe pesanti; a me spaventava l’idea di cadere in quel mondo terribile di dipendenza.
Emma mi parlò di Gesù, pianse per me e mi supplicò di salvarmi; le sue parole mi toccarono e mi fecero venire in mente quello che mi aveva raccontato il mio amico qualche mese prima. “Questo Gesù mi perseguita” pensai.
Venne l’inverno e incontrai di nuovo Emma, che mi propose un’offerta di lavoro e mi invitò a raggiungerla in una chiesa evangelica.
Là conobbi il pastore che mi presentò il piano della salvezza e mi regalò un Vangelo di Giovanni.
Pian piano iniziai a frequentare la comunità; mi piaceva la semplicità di quei credenti, avevo bisogno di gente vera e sincera. La Parola di Dio, sermone dopo sermone, come una luce liberava la mia anima dalle tenebre, come un calore mi riscaldava il cuore. Tornavo a casa con il vivo desiderio di incontrare Gesù personalmente.
Una notte feci una cosa che ritenevo irrazionale e assurda: pregai, chiesi al Signore di rivelarsi e di divenire un Suo figlio. Piegai le ginocchia e sentii un calore e una dolce presenza manifestarsi; in un attimo realizzai che Dio risponde alle preghiere. La mattina dopo iniziai a leggere con passione la Bibbia che Emma mi aveva regalato; sentivo crescere forte in me il desiderio di capire il piano di Dio. Lo Spirito Santo si faceva spazio nel mio cuore e illuminava la mia mente. Una sera, durante un culto, diedi il cuore a Gesù: sembrava che il sermone fosse proprio per me, ricordo le lacrime che versai e la gioia che mi invase.
Sono passati molti anni da allora. Adesso la mia fede è cresciuta e Dio, nella Sua fedeltà, oltre alla salvezza, che è il dono più grande, mi ha donato una moglie meravigliosa, con la quale servo il Signore, e una figlia, che preghiamo presto possa dare il cuore a Gesù, proprio come un giorno hanno fatto i suoi genitori. A Dio la gloria!
Giovanni