Sì, c’è un peccato che forse molti hanno imparato ad accettare, e di cui si parla poco, l’insoddisfazione!
Molte persone affermano che tutti i peccati sono “uguali” agli occhi di Dio, e che non c’è una scala gerarchica del peccato, che una bugia bianca o un omicidio sono entrambi trasgressione davanti a Dio, e sono stati causa della morte di Cristo sulla croce. Infatti per il sacrificio del Signore Gesù c’è il perdono di ogni peccato! Ma c’è un peccato che, in particolare, ha pervaso la nostra società, che si insinua nelle chiese in maniera subdola, tanto che raramente si riflette sulla cosa: è la costante bramosia per “qualcosa di più” di ciò di cui abbiamo realmente bisogno, la profonda insoddisfazione per quanto si ha e la continua spinta ad avere di più.
Questo peccato è conosciuto, per definirlo in termini più arcaici, come “ghiottoneria”.
Quando penso alla ghiottoneria, immagino qualcuno che si rimpinza la bocca con una tante ciambelle (naturalmente ben glassate) o, se si preferisce il salato, di patatine fritte.
Molti di noi potrebbero dire, riguardo alla ghiottoneria: “No, non credo sia un mio problema” oppure “Ma è veramente un peccato? Conosco tante brave persone, anche religiose che mangiano in continuazione, eppure non sono considerati meno spirituali o degli sviati”.
Ma questa “ghiottoneria” non è mera dipendenza da cibo.
Se guardiamo alla sua definizione originale essa ci appare molto più vicina di quanto tenderemmo ad ammettere.
La “ghiottoneria” è la tendenza dell’anima all’eccesso.
Si tratta del desiderio e la brama che superano l’effettivo bisogno, l’insoddisfazione per quanto si ha che cresce facendo bramare di più, sempre di più.
E nella nostra società, dove “andare oltre” è diventata parola d’ordine, è spesso difficile distinguere la differenza tra un legittimo desiderio e un pigro capriccio. In questo senso, anche i più atletici e tonici tra noi possono essere dei ghiottoni. Ognuno di noi lo può essere.
Tutto il desiderio per l’eccesso nasce dalla mancanza di soddisfazione. Non sono soddisfatto di ciò che ho nel piatto, del mio matrimonio, del mio conto in banca. Non mi basta, non mi è più sufficiente, per questo desidero, anzi, voglio qualcosa di più. Ma, visto che ogni porzione è una parte finita di qualcosa, da insoddisfatto sarò sempre alla ricerca di qualcosa che non potrà mai appagare i miei appetiti.
Questa è l’antica vicenda presentata dalla Bibbia nel Libro della Genesi al terzo capitolo in cui è descritto il primo peccato, compiuto nel giardino dell’Eden, soltanto per il desiderio di ottenere qualcosa di più.
Adamo ed Eva avevano ogni cosa a loro disposizione, non provavano né tristezza né vergogna, ma non era questo ciò che rendeva quel giardino un paradiso, bensì il fatto che Dio camminava “sul far della sera” con loro.
Eppure, la caduta di Adamo ed Eva fu causata dalla convinzione che tutto questo non fosse abbastanza.
Non erano contenti della loro porzione di paradiso: un’insoddisfazione che portò al disastro.
Proprio come loro anche noi possiamo essere protesi con voglie spasmodiche che ci spingono alla prossima novità, in un vortice senza fine.
“Insaziabili sono gli occhi degli uomini” afferma il Libro dei Proverbi 27:20. Sì, l’uomo è sempre alla ricerca di qualcosa che possa appagare una sete mai domata.
Questa spinta costante è il motore della ghiottoneria, il propellente verso l’eccesso.
Eppure, questo desiderio per “qualcosa di più” può volgersi al bene.
Ciò di cui abbiamo bisogno può essere dato solamente da Dio.
Ciò di cui abbiamo bisogno è un insaziabile appetito della presenza di Dio nella nostra vita.
Abbiamo bisogno di una “santa voracità” in cui le nostre anime assetate possano essere placate dalle delizie che è possibile trovare solo alla presenza dell’unico Dio glorioso, unica e infinita fonte di soddisfazione che può davvero appagare.
Un assaggio della grazia dell’Altissimo è abbastanza per saziare un’anima che ha trangugiato per troppo tempo le misere porzioni del peccato.
Se i piaceri del mondo hanno viziato il palato senza soddisfarlo, Gesù, vero pane della vita, lo appagherà di cibo eterno.
E c’è anche un particolare effetto collaterale: più ci ciberemo dell’amore sconfinato del Signore, più i nostri gusti cambieranno.
La gustosa polpa della grazia placherà anche gli appetiti più insaziabili.
Il re Davide nel Salmo 34 propone, anzi sfida a provare la differenza in prima persona: “Provate e vedrete quanto il Signore è buono”.
Ti senti insoddisfatto? Senti il bisogno di “qualcosa di più” nella tua vita?
Vieni a Gesù, Colui che è in grado di fare “infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo”.
(Efesini 3:20)
G.B.